Ho fatto la spia by Joyce Carol Oates

Ho fatto la spia by Joyce Carol Oates

autore:Joyce Carol Oates [Oates, Joyce Carol]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2020-04-27T22:00:00+00:00


“Violet! Questi splendidi fiori te li manda Lula.”

Una mezza dozzina di pallide rose in vaso, sul comodino accanto al letto.

“Tua madre,” aggiunse Irma arrossendo.

Come se potessi non sapere chi era Lula! Fui attraversata da un’ondata di emozione nei confronti di mia zia, un misto di rabbia e affetto.

Volendo crederci e invece no. Era stata Irma stessa a comprare le rose. Perché non c’era un bigliettino da parte di mia madre e, Irma non si sarebbe mai spinta fin là con l’inganno – falsificare un biglietto della sorella maggiore che casualmente era mia madre.

“Non sono bellissime? Lula era molto in pena per te...”

Irma lasciò la frase in sospeso, la voce incerta. Quanto avrei voluto dire Ah sì? Davvero? Invece rimasi in silenzio.

In realtà ero commossa per due biglietti ricevuti durante la degenza in ospedale, da Miriam e da Katie.

Guarisci presto! Con affetto.

Come se avessi preso l’influenza. Come se fosse qualcosa da cui si poteva guarire, e per giunta presto.

Dopo cinque giorni di ricovero all’ospedale di Port Oriskany avevo fatto ritorno nell’ordinata casa di mattoni beige in Erie Street. Avevo salito faticosamente le scale. Ero arrivata in cima alle scale senza fiato. Avevo pensato Ma forse sono morta. Dev’essere uno dei loro trucchi.

Il minimo sforzo mi sfiatava. Avevo forse subito danni al cuore?

Se il mio cuore aveva smesso di battere al pronto soccorso, era stato rimesso in moto con una scossa elettrica.

E anche di questo non avrei ricordato nulla, o quasi nulla.

La riluttanza a svegliarmi. La convinzione che la veglia sia uno stato innaturale.

Il mio cuore è spezzato. Sciocco, sentimentale.

Non vivere con la mia famiglia ma presso parenti. Molto meglio di una casa di accoglienza o di un riformatorio per fuggitivi.

Non era chiaro se davvero qualcuno della mia famiglia avesse chiamato mentre ero in ospedale. Visto che Irma non mi aveva parlato di specifiche telefonate dovevo presumere che non ce ne fossero state ma sinceramente non potevo esserne sicura, i miei genitori potevano aver preteso di tenerle segrete. Ero sicura però che i miei genitori sapessero di Mr. Sandman, Irma doveva avergliene parlato. E l’avevano senz’altro letto sul giornale. (Anche se il mio nome, in quanto minorenne, non compariva negli articoli.) Mi sembrava probabile che Irma e Lula si fossero sentite spesso per telefono, persino tutti i giorni, durante il mio ricovero.

Mi sembrava plausibile che le sorelle si sentissero spesso al telefono. E dovevano parlare di me.

Me. La sillaba più patetica di tutte.

Comunque, era qualcosa a cui mi sarebbe piaciuto credere.

E che cosa ne era stato di Arnold Sandman? Era sotto custodia nel carcere di contea. Saggiamente, avrebbe evitato il rischio di un processo. (Il procuratore dell’accusa intendeva chiedere novantanove anni di carcere.) Mr. Sandman avrebbe invece seguito il consiglio del proprio avvocato e rinunciato a opporsi, avrebbe espresso contrizione, pentimento, vergogna per i propri crimini; e il giudice lo avrebbe condannato a una pena dai venticinque ai trent’anni da scontarsi nel carcere di massima sicurezza di Attica.

Una condanna a morte. Arnold Sandman non sarebbe mai sopravvissuto ad Attica.

Nulla di tutto questo mi era noto all’epoca.



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